Shortcuts (Italian)

Il disco risale al 2007 e nel frattempo il canadese Jon Brooks ha già regalato un seguito con Moth Not Rust. Torniamo tuttavia sui passi di Ours and the Sheperds, non tanto perché gli è valso una nomination ai Canadian Folk Music Award, per quanto può valere un simile premio, quanto per lo spessore in sé di queste spoglie ballate acustiche, che svelano una voce e un interprete di grande profondità e ricercatezza lirica. Un disco insomma da non lasciar passare inosservato, perché nel grande mare dei folksinger oscuri che popolano il sottobosco odierno, ancora una volta il Canada sembra regalare un esempio di dedizione alla scrittura in cui la sottrazione e la parsimonia dei suoni sono una scelta di campo precisa. A suo modo un concept sulla natura incomprensibile della guerra e sulle emozioni intime suscitate nei personaggi coinvolti, Ours and the Sheperds compie un parallelo fra la contemporanea missione in Afghanistan dell’esercito canadese e alcune commoventi, piccole storie rintracciate nel passato della Seconda Guerra Mondiale e di Corea (nel brano Hill 677). Così lo sguardo volge dall’attuale nostalgia di Mimico e dalla disperazione di Tajik Boy alle vicende lontane narrate in Kigali, Gresbeek (città olandese che ospita un cimitero dove sono stati sepolti migliaia di caduti canadesi) e Sgt. Tommy Prince, ricordandosi persino di raccogliere una poesia del soldato, adetto segnalatore Frank P Dixon e di metterla in musica. La musica per l’appunto: essenziale, ma non ossuta, un folk struggente e disadorno per chitarra e voce (niente affatto irrilevante) a cui si affiancano poche precise note di pianoforte, organo, armonica, un leggero fruscio di percussioni, solamente alla bisogna, senza mai uscire allo scoperto. Una formula che sorpredentemente non stanca, a patto di riservare un po’ di raccoglimento e attenzione per queste ballate di impegno civile e di memoria collettiva. 

(Fabio Cerbone) 

April, 2009